taukay109

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Igor Stravinsky
Petrushka (suite) 
Le sacre du printemps

Bela Bartòk 
Der wunderbare mandarin (suite)

 

Mario Totaro, pianoforte 
Daniela Ferrati, pianoforte 
Ivan Gambini, percussioni

 

A settantatre anni dalla sua prematura scomparsa, Serghej de Diaghilev (1872-1929) può ormai a ragione essere considerato come una delle figure che hanno inciso più profondamente sulle arti del XX secolo. Uomo di cultura dai molteplici interessi, musicista ed artista mancato, egli decise di dedicare la sua intera esistenza all’attività organizzativa in campo teatrale, mettendo il suo genio e la sua finissima sensibilità al servizio delle avanguardie artistiche europee del suo tempo, con risultati unici. Dopo la costituzione, nel 1911, dei famosissimi Ballets Russes, con sede a Parigi, Diaghilev iniziò a commissionare o a portare in ogni caso alla ribalta internazionale i capolavori più rappresentativi dei più grandi artisti dell’epoca (basti ricordare Renard, Les noces, Pulcinella e Apollon musagète di Stravinskij; L’après-midi d’un faune e Jeux di Debussy; Daphnis e Chloe di Ravel; Il cappello a tre punte di De Falla; Pas d' acier e Le Chout di Prokofiev; Parade di Satie). Oltre a ciò, si deve al raffinato ed infaticabile impresario la “riscoperta” e la presentazione al pubblico di tutto il mondo di opere dimenticate o poco conosciute del passato (composizioni di D. Scarlatti, Pergolesi, Rossini nonché la prima rappresentazione fuori della Russia del Boris Godunov di Musorgskij). Per avere un’idea del livello straordinario degli spettacoli organizzati da Diaghilev in più di vent’anni di attività, basti menzionare alcuni artisti che collaborarono alla loro realizzazione: fra i pittori Picasso, Matisse, de Chirico, Braque, Benois, Bakst; fra i coreografi Massine, Balanchine, Fokine, Nijinskij; fra i danzatori Pavlova, Karsavina, Lifar, Dolin, Spessivtzeva; fra gli scrittori Cocteau; fra i musicisti, oltre a quelli già citati, Poulenc, Respighi, Hindemith, R. Strauss. L’ideale di Diaghilev era chiaramente la sintesi di tutte le arti in un rinnovamento radicale dello spettacolo. Le sue produzioni da un lato entusiasmavano per la perfezione tecnica, la bellezza ed il gusto infallibile, dall’altro spesso sconcertavano per l’audacia e l’assoluta novità della concezione, tanto da determinare, in alcuni casi, scandali di proporzioni colossali. Egli era un uomo illuminato che, pur ricercando (ed ottenendo) il successo, anteponeva sempre le “ragioni dell’arte” sopra quelle, diremmo oggi, “di mercato” e proprio grazie a questa nobile “etica professionale” si deve l’affermazione di grandissimi artisti letteralmente scoperti dal suo intuito eccezionale (Stravinskij gli serbò tale gratitudine da voler essere sepolto accanto alla sua tomba).
Proprio dalla stretta collaborazione fra Diaghilev e Igor Stravinskij (1882-1971) nacquero i due grandi balletti Petrushka e Le sacre du printemps. Dopo il mirabile successo di L’oiseau de feu (il primo balletto commissionato a Stravinskij dall’impresario russo, opera che rese il suo autore improvvisamente noto in tutto il mondo) sarebbe stato più semplice e più sicuro continuare a percorrere la medesima traiettoria stilistica, quella cosiddetta “russo-impressionista. Ecco invece Stravinskij cambiare bruscamente rotta per donarci Petrushka (1911), un grande affresco dai colori vivaci, quasi accecanti, che fa largo uso di sonorità inusitate e soprattutto agli antipodi di quelle del lavoro precedente. La scena si apre su una rutilante e confusionaria festa di Carnevale (è questo il pretesto per citare numerose canzoni popolari russe ed alcune canzonette “da strada”) che serve, però, solo come cornice di un vero e proprio dramma: quello di Petrushka e del suo amore tragicamente non corrisposto per la Ballerina. Poco importa che si tratti di un burattino; Petrushka possiede, infatti, un’anima e la sua doppia natura (umana e di marionetta) è la chiave per comprendere tutto il clima espressivo dell’opera, fondata su un dualismo fra realtà inconciliabili, il quale genera dialettica, ma anche antagonismo, conflitto ed infine morte (Petrushka morirà, infatti, ucciso dal Moro, l’amante della Ballerina). Per raccontare questa storia triste e “sentimentale”, il genio di Stravinskij si avvale della musica più antiromantica che si possa immaginare: le sonorità sono secche, taglienti, spesso dissonanti, il fraseggio grottesco e caricaturale, il risultato espressivo straziante e burlesco al tempo stesso, le immagini fortemente contrapposte ed accostate con violenza (coerentemente con la concezione scenica di Diaghilev); è difficile, insomma, immaginare una partitura meno convenzionale ed al tempo stesso, grazie al suo colorismo ed alla sua grande efficacia descrittiva, così accattivante. Così come il precedente, anche questo lavoro fu un successo straordinario e consolidò definitivamente la fama di Stravinskij.

Il passo successivo, nella collaborazione Diaghilev-Stravinskij, consistette in quella che P. Boulez ha definito “la pietra angolare della musica moderna”, ossia nel Sacre du printemps (La Sagra della Primavera - 1913). Ancora una volta un brusco cambiamento di rotta, un coraggioso salto nel buio: quest’opera non solo ha poco a che vedere con Petrushka, ma utilizza procedimenti d’organizzazione sonora talmente inediti da non aver esaurito forse nemmeno oggi, a novant’anni dalla sua composizione, il loro potenziale di novità. Si tratta di un’opera-chiave senza precedenti, che pare nascere dallo scatenamento di forze primordiali incontrollate. L’argomento del balletto riguarda alcuni riti pagani della Russia preistorica, fra i quali un sacrificio umano (nell’ultima parte una giovane è fatta danzare fino alla morte per essere sacrificata al dio della primavera). Per risalire oltre la civiltà dell’uomo, in assoluta coerenza col soggetto trattato, Stravinskij sentì il bisogno di distruggere l’ordine delle forme tradizionali e fu proprio tale gesto radicale a segnare l’inizio di una nuova era della musica. “Dietro al Sacre non esiste… né tradizione né teoria. Avevo solo il mio orecchio ad aiutarmi. Ascoltai e scrissi ciò che avevo ascoltato.”, scrive Stravinskij in Expositions and Developments. “Non si era mai udita musica così brutale, selvaggia, aggressiva ed apparentemente caotica. Essa investiva il pubblico come un uragano…” scrisse invece un critico presente alla prima esecuzione, la quale determinò uno degli scandali più memorabili di tutta la storia della musica; eppure, anche qui, le dissonanze più crude e le più asimmetriche combinazioni vanno di pari passo con la coinvolgente pulsione ritmica, con il tumulto espressivo, con l’utilizzo di melodie d’estrazione popolare, con una forza poetica che hanno finito col rendere questo capolavoro una delle opere più celebri ed affascinanti di tutti i tempi.

Grandi polemiche ed aspri tumulti segnarono anche la prima rappresentazione de Il Mandarino meraviglioso di Béla Bartók (1881-1945), avvenuta nel 1925 a Colonia, soprattutto a causa del soggetto scandaloso. Questo lavoro, composto nel 1918-19, è stato più volte accostato, per la sua lacerante espressività, al Sacre anche se la parentela fra i due balletti è, in realtà, abbastanza superficiale. Il Mandarino, infatti, risente soprattutto dell’influenza che su Bartòk esercitò l’espressionismo tedesco e la seconda Scuola di Vienna. L’argomento, audacissimo per l’epoca, impedì per ben diciassette anni la rappresentazione integrale dell’opera. Eccolo: tre banditi costringono una giovane donna a adescare i passanti per derubarli. Fra loro vi è un Mandarino cinese, dall’aspetto orribile; la donna è costretta a sedurlo fino a suscitare in lui una passione irrefrenabile… A questo punto escono i tre malviventi allo scoperto e, dopo aver derubato il Mandarino, tentano di ucciderlo, dapprima soffocandolo, poi trapassandolo con una spada, infine impiccandolo ad un gancio. Tuttavia, ogni loro sforzo è inutile: il Mandarino potrà morire solo quando la donna deciderà di concedersi a lui, soddisfacendo il suo desiderio. Assolutamente intollerabile dovette apparire agli spettatori del tempo l’estrema violenza delle immagini ed il crudo, esplicito erotismo che permea da capo a fondo l’opera culminando, nel finale, in un vero e proprio coito in scena. La musica è quella di un autore che vive la grande crisi del linguaggio musicale dei primi del Novecento dall’interno, con una consapevolezza esemplare, cercando disperatamente inedite soluzioni espressive. Da tale febbrile ricerca nascono suoni inquietanti, esasperati, allucinati, tanto radicali nel loro sperimentalismo e nella loro originalità quanto espressivi, coinvolgenti ed efficaci nel descrivere minuziosamente ogni gesto, ogni sfumatura psicologica del dramma. Grazie anche alla grande vitalità ritmica che lo caratterizza, il Mandarino meraviglioso è oggi uno dei lavori più conosciuti, amati ed apprezzati del grande maestro ungherese. 

Mario Totaro

 

 

Il Trio Diaghilev presenta questi tre balletti in una versione inedita: quella per due pianoforti e percussione, con le parti pianistiche basate sulle trascrizioni originali degli autori e quella della percussione basata sulle parti orchestrali. Due pianoforti sono in grado di riprodurre agevolmente una grande partitura anche se si tratta, ovviamente, di strumenti producenti solo suoni determinati e di timbro uniforme. Il ruolo delle percussioni consiste proprio nell'aiutare a superare tali limiti, estendendo la gamma timbrica e fornendo una solida base ritmica indispensabile in questo genere di musica.

 

L'originale proposta musicale del Trio Diaghilev - tre giovani musicisti selezionati 'per meriti eccezionali' da eminenti personalita' del mondo musicale italiano - offre continui colpi di scena, fino a trasformare un "semplice" concerto in un vero e proprio spettacolo, proponendo effetti infinitamente piu' audaci rispetto alle versioni orchestrali ".

Cosi' si puo' leggere in una critica del " Suddeutsche Zeitung " di Monaco, uscita nel 1994. 

Effettivamente l'affascinante bravura strumentale dei singoli componenti, il virtuosismo dei pianisti, la fantasmagorica presenza delle percussioni, il gusto raffinato, la rispettosa spregiudicatezza unita ad un totale abbandono del piacere dell'invenzione e della creativita' e la grande tensione emotiva offerta dall'insieme, trasformano i concerti del Trio Diaghilev in serate travolgenti e irresistibili. 

Con audace spirito di ricerca, effervescente musicalità e sempre vigile intelligenza interpretativa, il Trio propone serate spettacolari e culturalmente rigenerative. 

Il repertorio del Trio Diaghilev, e' costituito da alcuni tra i maggiori capolavori musicali del '900 storico e da opere originali composte espressamente per questa formazione. 

 

Il gruppo ha sempre riscosso durante una ormai lunga e densa attività concertistica svolta in tutta Italia e all'estero, ampi e unanimi consensi di pubblico e di critica partecipando ad importanti manifestazioni ("Galleria dei Suoni - Musica 2000" - Roma, "Rossini Opera Festival" - Pesaro, "Autunno Musicale" - Como, "Sagra Musicale Malatestiana" - Rimini, "I Concerti dell'Ateneo" - Roma, "Associazione Scarlatti" - Napoli), collaborando con importanti compagnie di balletto (Carla Fracci) e partecipando piu' volte in qualita' di "invitato ospite d'onore" a prestigiose produzioni radiofoniche RAI ("Radiotre Suite", Salone del Lingotto di Torino). 

Date

04 Febbraio 2002

Tags

CD
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