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Musiche per Menon
di Daniele Spini 

Per quanto sia stata appartata, e per desiderio dello stesso poeta anche abbastanza elusiva, dunque improntata tanto nei contenuti quanto nel rapporto con il mondo a una sorta di elogio del silenzio, la vicenda creativa di Gian Giacomo Menon ha determinato una serie non irrilevante di ricadute musicali, coinvolgendo compositori di generazioni diverse, e anche con storie stilistiche abbastanza diverse. Fino a poco tempo fa si aveva notizia di sei nomi in tutto. Cinque di questi, legati in un modo o in un altro al territorio del Friuli Venezia Giulia, furono protagonisti di quello che resta il momento cruciale del rapporto fra la poesia di Menon e la musica: il concerto del 6 marzo 1972 al Teatro delle Mostre (o Palamostre, come lo si identifica correntemente) di Udine, inserito della stagione dell’Agimus e inteso appunto come un omaggio a Menon, nel quale il mezzosoprano Elena De Martin e il tenore Giuseppe Botta eseguirono dodici liriche per voce e pianoforte musicate sui versi di lui dopo una prolusione di Toni Colùs (Antonio Colussi). Come ci narra Cesare Sartori nel suo contributo biografico contenuto in questo stesso volume, Menon “si guardò bene dal farsi vedere, coerente con la sua drastica scelta di assenza”, a una manifestazione non solo organizzata, ma addirittura concepita – come conferma la creazione più o meno in contemporanea di tutti i lavori in programma –  in suo onore, frutto di tre musicisti della sua generazione, due dei quali più anziani di lui, e ormai solidamente affermati ma anche di due giovanissimi, che stavano giusto allora dando le prime prove importanti.

Il più anziano era Enrico De Angelis Valentini, laziale di origine, in quanto nato a Rocca di Papa nel 1900, ed educato come compositore e come pianista a Pesaro e a Roma, ma che già nel 1943 era venuto a vivere a Udine, come insegnante di pianoforte al Liceo Musicale “Jacopo Tomadini”, rimanendoci sino alla sua scomparsa, nel 1983. Musicista forte di una professionalità di sapore antico, cresciuto all’ombra della “generazione dell’Ottanta” (fra i suoi maestri, dopo Amilcare Zanella, ci fu anche Alfredo Casella), impegnato nella didattica del suo strumento (quanti pianisti italiani da piccoli si sono esercitati sui suoi pezzi infantili, o allenati sui suoi studi) non meno che nelle prove compositive di maggior impegno, De Angelis Valentini affrontò in quell’occasione una pagina inedita, la luna nei solchi. Una scelta che forse non per caso cadeva su un testo di ampie dimensioni, nel quale Menon sembra, se non altro a una prima lettura, ideare in più luoghi scorci e accostamenti meno bruschi e sintetici del solito, distendendosi in una contemplatività quasi pascoliana. E in questo senso, si direbbe, si orienta anche il titolo, Poemetto, assegnato da Enrico De Angelis Valentini al suo lavoro.

Più vicina anagraficamente a Menon Cecilia Seghizzi: nata a Gorizia – dunque sostanzialmente conterranea di lui – nel 1908, figlia d’arte, violinista, allieva per la composizione di uno straordinario protagonista della vita culturale e artistica di Trieste come Vito Levi, instancabilmente e poliedricamente attiva per decenni come concertista, compositrice (specialmente impegnata sul fronte della musica per coro) e pittrice, e tuttora vivacissima. Vicina come posizioni stilistiche al maggior Novecento storico italiano ed europeo, Cecilia Seghizzi rivestì di suoni due poesie pure inedite di Menon, le brevissime, quasi elusive venivano e vengono e la colomba passò, unite sotto il titolo Due schizzi in un dittico rimasto – come finora le altre composizioni eseguite in quel concerto – esso pure inedito.

Terzo in ordine di età, forse allora primo come notorietà, l’udinese Piero Pezzè (1913-1980): già allievo a Trieste di Mario Montico, come anche di quell’Antonio Illersberg che era stato il primo maestro di Luigi Dallapiccola, dal 1939 insegnava storia della musica al “Tomadini”, ed era figura di prima fila nella vita musicale di Udine. Compositore fertile e originale, spaziante dall’attenzione al Novecento francese degli esordi a successivi approdi alla atonalità e alla composizione seriale, attivo anche come pianista (specialmente nel campo della musica da camera), studioso, animatore di complessi corali, Pezzè aveva composto le sue Tre liriche nel 1970, scegliendo i testi fra quelli pubblicati (ed era stata la prima edizione di poesie di Menon dopo, anzi ben dopo quel nottivago[1] che nel 1930 aveva raccolto le sue esperienze giovanili di futurista) su “La fiera letteraria” nel  1966[2]non chiedere il cedro alle colombevengo con zufoli di creta e scambiati zodiaci. Tre poesie molto diverse fra loro, ma accomunate da una ricerca strenua di essenzialità stilistica. Più ancora delle parole con le quali Pezzè commentò il suo lavoro (“I finissimi versi del Menon, pieni di immagini fantastiche, caldi di sentimento, animati da una ritmica varia e stimolante, mi hanno suggerito una lettura musicale che mi sono proposto lineare nella struttura, sollecita nella espressività del canto e discreta nella partecipazione strumentale di sostegno”[3]) forse rende loro giustizia proprio la realizzazione musicale essenziale ed efficace. Per non chiedere il cedro alle colombe una linea melodica semplicissima, in bilico fra tonalità e dissonanza, attenta a rispettare al massimo la struttura ritmica delle parole; la parte del pianoforte è ridotta all’osso, e fornisce al canto un commento algidamente sospeso. In termini non diversi si muove vengo con zufoli di creta, sfruttando peraltro le allusioni musicali dell’incipit nelle evocazioni rarefatte di flauti quasi debussyani proposte dal pianoforte. Tutt’altro linguaggio in scambiati zodiaci, per il quale Pezzè ricorre alla dodecafonia, addirittura disponendo l’avvio dell’accompagnamento pianistico lungo una serie contenente tutti gli undici intervalli possibili: i dodici suoni (tanti quanti i segni dello zodiaco) fluttuano in una ritmica piana tenendosi quasi sempre alle soglie del silenzio, in consonanza con le immagini lunari e surreali del testo (che evoca irresistibilmente, e forse non casualmente, se si pensa all’intrico di citazioni criptiche disseminato da Menon nelle sue poesie, il Pierrot lunaire di Ernest Guiraud, musicato nel 1912 da un Arnold Schönberg ancora lontanissimo dalla scelta dodecafonica). Le Tre liriche sono state attentamente analizzate da Daniela Terranova in una tesi di laurea su Poesia e serialità in Piero Pezzè, discussa all’Università di Trieste nell’A.A. 2001-2002, relatore Roberto Calabretto.

A un’altra generazione apparteneva l’allora venticinquenne Franco Dominutti (Udine 1947), destinato a una bella storia di compositore, insegnante, e (onorando una tradizione saldamente e preziosamente radicata nella regione) maestro di coro. Musicate nei primi mesi di quel 1972, le sue Tre liriche danno voce ad altrettante poesie inedite:  più lenta filigrana è letta da Dominutti con estrema linearità nella parte del canto, contro pochi accordi (spesso bitonali) del pianoforte, fino a dar vita a frequenti stringhe di dodici suoni;  ebro ebro di te è invece scandita da una parte strumentale aggressiva, nel segno di una inquieta instabilità ritmica, comunicata anche alla voce, non intonata sulle parole dell’incipit, riprese al principio della seconda terzina.  Rarefatto ma anche più scorrevole pietà per pietà, disposto in crescendo dalle dinamiche tenui dell’inizio al fortissimo con quattro f che punteggia il ritorno delle parole “pietà per pietà” per ridiscendere velocemente al pianissimo conclusivo.

Più giovane di tutti, e fresco di diploma, il triestino Daniele Zanettovich (1950), che però al tempo del concerto ha già al suo attivo una mole più che rispettabile di composizioni, fra i quali un atto unico (Celine) rappresentato quando era ancora studente al conservatorio, e il Concerto per flauto che in questo stesso 1972 gli vale la vittoria (prime di due, a pochi anni di distanza) al concorso "Prix Prince Pierre de Monaco". Una fecondità e fertilità creativa che in questi quarant’anni sembrano non aver conosciuto soste, fino a proporlo come personalità di primo piano nella cultura musicale contemporanea, con notevoli affermazioni internazionali, ma che non gli hanno impedito di darsi da fare anche come direttore d’orchestra, e come insegnante di composizione al “Tomadini” (ma già nel 1972 aveva avuto come allievo giusto Dominutti, di tre anni più anziano di lui!). Nel 1972 Zanettovich continua a fare pure il suo primo mestiere, quello del pianista, tant’è vero che il concerto Agimus lo impegna appunto ad accompagnare i due cantanti.  Le Tre liriche su testo di G. G. Menon  sono datate 1971, e si rivolgono anch’esse a testi allora inediti: si dedica all’attesale cavità incessanti e nero volo dell’anatra (il primo e il terzo saranno pubblicati da Menon nel 1998, insieme con le diciassette poesia già edite dalla “Fiera letteraria” e altre nella raccolta I binari del gallo[4], curata da lui stesso insieme con Carlo Sgorlon e Maria Carminati). Forse non per caso, fra le tre partiture – sulle cinque in programma – che ci è stato possibile esaminare, quella di Zanettovich sembra la più attenta a sfruttare le possibilità del pianoforte, nonché a concentrare la realizzazione musicale anzitutto sule valenze sonore dei testi, in termini ritmici non meno che melodici, in un linguaggio aggiornato, di non ripetitiva modernità. Così si dedica all’attesa muove dal pianissimo e da una declamazione ondeggiante per montare in un crescendo quasi violento fino al grido “delle vene”, mentre in chiusura la parola “grido” è detta nuovamente in pianissimo e distesa nell’unico vero e proprio melisma di un lavoro altrimenti ancorato a una musicazione quasi esclusivamente sillabica; contrasti dinamici piuttosto bruschi e dizione di estrema asciuttezza melodica caratterizzano le cavità incessanti in senso quasi aforistico; anche in nero volo dell’anatra la voce sembra imporsi una sostanziale castità melodica, avvolta da un fluttuare di terzine del pianoforte.

E per molto tempo la storia musicale di Menon si è limitata a queste cinque composizioni, finora di altrettanto limitata circolazione: il programma, affidato ad altri esecutori (il tenore Arduino Zamaro e il pianista Tarcisio Todero) risulta essere stato trasmesso da “Radio Friuli Venezia Giulia” il 26 gennaio 1976, e replicato da “Radio Trieste” il 21 gennaio 1977; mentre nel 1995 le Tre liriche di Piero Pezzè furono eseguite durante un concerto in sua memoria dal mezzosoprano Mirna Pecile e dalla pianista Natascia Grebeniouc a Cividale del Friuli (sala del convento delle Orsoline) l’11 aprile e il 12 a Udine, nel Salone del Parlamento in Castello[5].

Quasi un quarto di secolo dopo ecco però giungere un nuovo confronto, assai importante per l’autorevolezza del compositore. Stavolta non si tratta di un friulano o di un triestino, ma di un americano, James Dashow. Nato a Chicago nel 1944, Dashow ha fatto dell’Italia il centro di una carriera intensissima svolta tanto di qua quanto di là dall’Atlantico, impegnandosi nella computer music e contribuendo fra l’altro negli anni Settanta a fondare una struttura di eccezionale importanza artistica e scientifica come il Centro di Sonologia Computazionale dell’Università di Padova. La sua conoscenza con Menon passa per il matrimonio con la nipote di lui, Annasilvia Bombi: e trova un momento di speciale intensità negli anni Novanta, quando il poeta spedisce al musicista trenta poesie scritte a macchina, tutte successive al 1977. In queste Menon sembra estremizzare ulteriormente la sua scelta stilistica, portando il suono delle parole e la loro valenza musicale a far premio ancor più di sempre sul loro possibile significato, contribuendo così a chiarire anche retrospettivamente il senso della sua esperienza poetica.

Aspetto che Dashow sembra aver colto perfettamente, tanto da rivolgersi alla poesia di Menon non più nei termini di una liederistica tradizionale, ancorché linguisticamente moderna, identificata sin dal primo romanticismo in una presa diretta della composizione sul significato delle parole (posizione in parte già superata da alcuni dei compositori presenti al concerto del 1972) e nel tandem voce-pianoforte, bensì in quelli di un rapporto diretto fra suono della parola e suono musicale, che aggiunge ai due interpreti consacrati dalla storia anche la componente attuale, e in qualche misura potenzialmente straniante, dei suoni elettronici. Lavorando fra il 2000 e il 2001, Dashow sceglie una sola delle poesie a lui offerte, come là dove le solitudini e l'onda della terra e vi premette una di quelle nel frattempo pubblicate nei Binari del galloi fermagli notturni, raccogliendole sotto un titolo, Sul filo dei tramonti, ricavato dall’ultimo verso (“un'intera vita impiegata sul filo dei tramonti") della poesia il candore e la ruga, che nei Binari precede immediatamente appunto i fermagli notturni. Il titolo completo recita anzi Sul filo dei tramonti / due liriche dalla Mont / per soprano, pianoforte e suoni elettronici / poesia di Gian Giacomo Menon: operazione che evoca - anche nell’allusione friulana di quel “dalla Mont” - una qualche dimensione autobiografica tacendo però le parole stesse che la indicano. Dashow sembra così omaggiare, e con ciò stesso sottolineare, il carattere criptico se non esoterico addirittura di tanta poesia di Menon (per la quale ci si chiede se auspicare o temere un’operazione simile a quella delle Discrezioni nelle quali Mary de Rachewiltz volle “spiegare” alcuni dei molti e fittissimi enigmi impliciti nei Cantos di suo padre Ezra Pound). Nel suo lavoro, Dashow rispetta il verso proprio anche come significante, come fatto sonoro, facendo nascere da questo ritmo e melodia del canto, modulando le emozioni più sulla musicalità delle parole che non sul loro contenuto ed espandendo il canto stesso nei suoni del pianoforte e questi a loro volta nella loro ombra elettronica, con la quale dialogano interagendo fra loro a creare atmosfere a volte anche assai tese e drammatiche, facendo succedere una lirica all’altra senza interruzione, ma collegandole con un breve episodio affidato alla sola elettronica.

Dedicato in calce “in memoriam Gian Giacomo Menon / un poeta per poeti”, Sul filo dei tramonti è stato eseguito per la prima volta a Udine il 18 ottobre 2006 dal soprano Pamela Hebert e dal pianista Aldo Orvieto, nell’ambito della X Rassegna di Nuova Musica "Contemporanea 2006" organizzata dalle Edizioni musicali Taukay. Nel 2005 Dashow ne aveva realizzato una versione per flauto (anche flauto contralto e ottavino), arpa e suoni elettronici.

Così Dashow stesso presenta il suo lavoro:

 Scrivere questa nota di programma è più difficile del solito, per due motivi.  Primo, a causa del tristissimo avvenimento che è successo durante la composizione del brano: il poeta è scomparso prima che il lavoro fosse compiuto, e date le sue condizioni di salute negli ultimi tempi, non sappiamo se abbia potuto rendersi conto che io stavo musicando due delle sue poesie.  E pensare che volevo far questo sin da quando ho conosciuto il poeta, a Udine nei tardi anni ’80.  Il secondo motivo ha a che fare con la difficoltà di parlare di una poesia che ho potuto capire più istintivamente che a livello di significato letterale.  Ho potuto apprezzare la maestria che Menon aveva sulle sottigliezze dell’italiano soprattutto attraverso il suono, il ritmo e il flusso di immagini delle sue opere, ed anche la capacità di inventare nuove parole per costringere la lingua ad esprimere quello che voleva lui.  Mi sembra che quello che voleva era (è) un bellissimo lirismo introspettivo, che riesce a costruire dalle immagini, suoni e sentimenti-pensieri più disparati una visione poetica unificata, satura di una squisita ed intima espressione.

È proprio questo che cerco di catturare con la musica, facendo una mescolanza di parole e suono che trasforma tutta questa “materia prima” in qualcosa di nuovo, una sorta di “interpretazione mediante trasformazione”, o meglio, una traduzione in una dimensione interamente diversa.

Il titolo del pezzo, da un’altra poesia di Menon, cattura, in solo quattro parole, una complessità piena di sentimenti e di riferimenti multi-dimensionali.  Questo mi sembra l’essenza della poesia di Menon, un poeta per poeti.

Tecnicamente, Sul filo dei tramonti rappresenta ancora un’altra esplorazione delle risorse del mio Sistema Diadi, dove sia le note, sia i suoni elettronici sono derivati dalla medesima struttura di base.  I suoni elettronici sono qui solo stereofonici, ed è stata una sfida interessantissima di cercare di creare diversi sensi di profondità e di spazio in contrasto con la presenza immobile del soprano e del pianista.   La struttura della musica è una stretta variazione sulla struttura della poesia, ed è particolarmente evidente nella seconda delle due selezioni.

I suoni sono stati realizzati con il programma per la sintesi digitale del suono MUSIC30 da me creato, e trasformati poi con varie procedure di trattamento del segnale audio.

Ma la “Menon-Renaissance” che ha preso le mosse recentemente, e della quale questo volume è al tempo stesso prodotto e, per alcuni dei suoi contenuti, in certo senso causa ancora prima di esser pubblicato,  ha aggiunto altri tre nomi all’elenco dei compositori che han lavorate sulle poesie del professore, retrodatando di un anno l’inizio della vicenda musicale di questi testi. Al 26 maggio 1971, nella sala Ajace di Udine, risale la prima e finora unica, per quanto si sa, esecuzione della Piccola cantata per solo, coro e cinque strumenti composta da Tarcisio Todero (Pradamano 1930-2011) sui versi averti come i lunghi odori della terra, poi confluiti nei Binari del gallo. Allievo per la composizione dapprima di De Angelis Valentini e poi di Luigi Perrachio a Torino, pianista e organista, per lunghi anni insegnante al “Tomadini”,  Todaro come abbiamo visto avrebbe anche partecipato alla ripresa radiotrasmessa del programma del 1972.  L’esecuzione di Piccola cantata fu diretta dallo stesso Toni Colùs che avrebbe poi introdotto il programma del 1971, alla testa del coro dell'istituto magistrale "Caterina Percoto" nel quale allora insegnava Menon, nell’ambito di un saggio musicale di fine anno scolastico. Una composizione breve, rigorosamente sillabica; gli strumenti seguono l’andamento ritmico piano e scorrevole delle voci sostenendole o alternandosi a esse, aderendo al clima nostalgico e sospeso del testo.

Nel frattempo, la progettazione di un Cd dedicato appunto alla storia musicale di Menon ha innescato la composizione di tre nuovi lavori (un po’ come era avvenuto per il concerto del 1972), ancora una volta coinvolgendo nomi legati a Udine e al suo territorio. Alla dimensione tradizionale della lirica per voce e pianoforte, che aveva ispirato appunto il concerto del 1972, si sono rifatti i due compositori più giovani:   ecco quindi Aulon Naçi, albanese classe 1983, studi appena completati al “Tomadini”, creare sinfonia, dal remoto nottivago, ritrovando uno stile “novecentista” che in certo senso richiama il 1930 che vide la pubblicazione della raccolta, e il giovanissimo Alessio Venier (Gemona, 1992), ancora studente a Udine ma già in possesso di un bel carniere di esecuzioni di musiche sue, partire da scarto e scacco, una delle poesie inedite raccolte in Meno di un giorno (1 gennaio 1994) , per dar vita a sonorità immobili e algide, secondo una scelta sottile di modernità asciutta e interiorizzata. Al più attuale dei linguaggi musicali, i suoni elettronici, compresa un’elaborazione della voce recitante dello stesso Cesare Sartori cui si deve in sostanza questa complessa intensa opera di riscoperta e riproposizione di Gian Giacomo Menon e della sua poesia, ricorre invece Vittorio Vella, da sempre protagonista generoso e instancabile, anzitutto con le sue Edizioni musicali Taukay, della maggior parte delle attività in campo contemporaneo a Udine e nel suo territorio. Fonso trae spunto da una delle non moltissime poesie in lingua friulana di Menon:

Dato che il Cd partiva dalla poesia di Menon, recitata e cantata, ho pensato di utilizzare la parola, rendendola suono attraverso varie elaborazioni temporali e di sintesi timbrica. Ai suoni della voce elaborati ho contrapposto/mescolato altri suoni reali, per la maggior parte inarmonici (le campane suonate dal protagonista della poesia). Nel realizzare la composizione ho provato a mantenere vivo l'interesse dell'ascoltatore confezionando una piccola storia sonora con i suoi "colpi di scena" e le sue dinamiche.

Così questo lavoro sigla tutta l’impresa sotto un segno fascinoso ed enigmatico: lo stesso, in fondo, che emerge dalla quasi indecifrabile essenzialità e privatissima interiorizzazione dei versi ora riportati all’attenzione del mondo della cultura insieme con i suoni cui hanno dato ispirazione.

 

 

[1] il nottivago – versi liberi, Milano, Ediz. Pagine blu, 1930.

[2] “La fiera letteraria”  a. XLI, n. 32, 18 agosto 1966.

[3] “Ce fastu”, 2003, n. 1.

[4] I binari del gallo, Pasian di Prato, Campanotto, 1998.

[5] Cfr. Pierluigi Visintin, Piero Pezzè, musicista europeo nel Friuli del Novecento, Udine, Kappa vu, 1995, p. 325.

 

1  -      con te, mia piccola terra       

2  -      James Dashow

                        sul filo dei tramonti                                               

3  -      il dentro e l’assenza                                                                      

4  -      Piero Pezzé

                        Tre liriche:                                                             

                                    non chiedere il cedro alle colombe

                                    vengo con zufoli di creta

                                    scambiati zodiaci

5  -      un solo bacio a metà                                                          

6  -      Alessio Venier

                        Scarto e scacco                                                      

7  -      rotaie nere ferite di neve                                                    

8  -      Aulon Naçi               

                        Sinfonia                                                                    

9   -     dare le mani al vento                                                          

10 -     Daniele Zanettovich

                        Tre liriche                                                               

11 -     pravisdomini britomarti                                                     

12 -     Franco Dominutti

                        Tre liriche:                                                                

                                    più lenta filigrana

                                    ebro… ebro di te

                                    pietà per pietà

13 -     mia terra vengo                                                                   

14 -     Vittorio Vella

                        fonso                                                                        

15 -     fonso                                                                                   

 

Soprano – Sonia Visentin

Pianoforte – Aldo Orvieto

Voce recitante – Cesare Sartori

 

Registrato tra gennaio e aprile del 2013 (Black Mirror - Delta Studios, Udine)

Pianoforte Fazioli F278

Mix e mastering a cura di Vittorio Vella - Delta Studios di Remanzacco (Udine)

 

 

Aldo Orvieto (Padova, 1961) - Dopo gli studi al Conservatorio di Venezia incontra Aldo Ciccolini, al quale deve molto della sua formazione musicale. Ha inciso più di 50 dischi per Dynamic, Stradivarius, Ricordi, Nuova Fonit Cetra; per ASV e Black Box Music (London), Cpo (Georgsmarienhütte), Mode Records (New York), Naxos (Hong Kong), Hommage (Hamburg). Ha registrato produzioni e concerti per BBC, RAI, Radio France, le principali Radio tedesche (WDR, SDR, SR), le Radio svizzere (RTSI, DRS), la Radio Belga (RTBF), la Radio Svedese. Ha suonato come solista con la OSNR della RAI, l’Orchestra del Teatro La Fenice di Venezia, del Comunale di Bologna, dell’Arena di Verona, dell’ORT di Firenze, l’Ensemble 2e2m di Parigi. Ha svolto attività concertistica e discografica con i violinisti Luigi Alberto Bianchi, Felix Ayo, e Dora Bratchkova con i violoncellisti Arturo Bonucci e Luigi Piovano, con i pianisti John Tilbury e Marco Rapetti, con le cantanti Sara Mingardo, Monica Bacelli, Gemma Bertagnolli e Luisa Castellani. Ha partecipato a molte prime esecuzioni assolute e gli sono state dedicate nuove composizioni da Salvatore Sciarrino, Claudio Ambrosini, Stefano Gervasoni, Aldo Clementi, Fabio Nieder, Luis De Pablo, Ivan Vandor; ha ricevuto lusinghieri consensi da alcuni dei più grandi compositori del nostro tempo tra cui Luigi Nono, Goffredo Petrassi, Mauricio Kagel. Nel 1979 è stato tra i fondatori dell’ Ex Novo Ensemble e, nel 2004, della rassegna concertistica Ex Novo Musica.

Sonia Visentin (Rovigo, 1975) - Soprano, diplomata con il massimo dei voti, si è successivamente perfezionata con Carlo Bergonzi all’Accademia Chigiana di Siena e con Rodolfo Celletti a Martina Franca e Milano. Tra i ruoli principali interpretati in teatro: Lucia in Lucia di Lammermoor di Donizetti, Der Koenigin der Nacht in Die Zauberfloete di Mozart, Corinna nel Viaggio a Reims di Rossini, Dinorah nell’omonima opera di Meyerbeer, Olympia in Les Contes d’Hoffmann di Offenbach, M.me Herz in Der Schauspieldirektor di Mozart, Lucieta in I Quattro Rusteghi di Wolf- Ferrari. Ha lavorato con i direttori Zedda, Oren, Bellugi, Panni, Tate, Fournillier, Veronesi, Renzetti, Rizzi-Brignoli, Lijfors, Parisi, Masson, Curtis, Borgonovo, Rek, Benedetti-Michelangeli, Pidò. Fra registi si ricordano: Kemp, Proietti, Foà, De Fusco, Gregoretti, De Bosio, Marini, Crivelli, Barberio-Corsetti, Pichon, Landi.  Ospite in vari teatri e manifestazioni tra cui: Regio di Parma, Regio di Torino, Fenice di Venezia, Comunale di Bologna, San Carlo di Napoli, Teatro Verdi di Trieste, Politeama di Palermo, Teatro Verdi di Firenze, Ponchielli di Cremona, Donizetti di Bergamo, Grande di Brescia; all’estero Teatro di St. Etienne e Vichy (Francia), Chatelet di Parigi, Teatro di Bastia (Corsica), Liceu di Barcelona, Teatro di Oviedo, Teatro di Avignone, Teatro di Lione, Festival barocco «Le feste di Apollo» (Parma) nonché ai festival di musica contemporanea di Reykjavik (Islanda), Tourcoing (Francia), Ludwigsburg (Germania), Dordrecht (Olanda), Istanbul (Turchia), Budapest (Ungheria).
Nell’ambito della musica contemporanea, è stata protagonista di numerose prime assolute, concerti e opere, in particolare: MedeaPietra di diaspro e Tenebrae di Adriano Guarnieri; Il Giudizio Universale , Big Bang Circus , Il canto della pelle e  Il killer di parole di Claudio Ambrosini, Il re nudo di Luca Lombardi, Il carro e i canti di Alessandro Solbiati, Divorzio all’italiana di Giorgio Battistelli.  

Cesare Sartori (Udine, 1949), si è diplomato al liceo classico Jacopo Stellini di Udine dove è stato allievo di Menon, e si è laureato in filosofia all’università di Trieste. Friulano della diaspora, giornalista professionista, per 30 anni redattore della «Nazione» di Firenze, vive a Pistoia.

James Dashow (Chicago, 1944) - Pioniere della computer music, è stato tra i fondatori del Centro di sonologia computazionale dell’università di Padova. Ha insegnato al Mit, all’università di Princeton, al Centro per la diffusione della musica contemporanea di Madrid e al Musica Viva Festival di Lisbona. Ha ricevuto premi e riconoscimenti in tutto il mondo (Bourges International Festival of Experimental Music, Fondazione Guggenheim, Linz Ars Electronica Festival, Fondazione Fromm, Biennale di Venezia, Rai, Usa National Endowment for the Arts, Fondazione Rockefeller, Cantiere internazionale d’arte di Montepulciano, Fondazione Koussevitzky, Prague Musica Nova, Harvard Musical Association di Boston). Nel 2000 si è aggiudicato il prestigioso Prix Magistere al 30° Festival internazionale di musica e arte sonora elettroacustica di Bourges.
I suoni elettronici con cui lavora sono il risultato di una trentennale attività di ricerca, sfociata nella creazione di un suo linguaggio di sintesi: MUSIC30, e un suo metodo di composizione: il Sistema Diadi (dal suo sito è possibile scaricare il software che genera le strutture musicali e i suoni del Sistema Diadi).
Ha insegnato al MIT (direttore supplente dello studio di musica sperimentale) e alla Princeton University.  Ha presentato masterclass e corsi straordinari in composizione musicale e tecniche di sintesi del suono al Centro para la difusion de musica contemporanea di Madrid, al festival Musica Viva di Lisbona, al Conservatorio Benedetto Marcello di Venezia e altrove (Cracovia, Den Haag, Cosenza, Trento, Huddersfield, Edinburgho, Sheffield, Aberdeen). È stato vicepresidente nel primo comitato direttivo dell'International Computer Music Association e per molti anni ha condotto il programma radiofonico Il forum internazionale di musica contemporanea per Rai Radio 3.    
Ha registrato per Bmg Ariola-Rca, Wergo, EdiPan, Capstone, Neuma, ProViva, Cri, Scarlatti classica, BVHAAST e Centaur.  
Vive in una casa sulle colline della Sabina, a nord di Roma, con la moglie Annasilvia Bombi, nipote di Menon.

Franco Dominutti (Udine, 1947) – Diplomato al Conservatorio Tomadini di Udine in organo e composizione organistica e in composizione; diploma in musica corale e direzione di coro nel Conservatorio Benedetto Marcello di Venezia; per 30 anni direttore di coro e compositore di musica da camera. Quattro volte finalista al concorso internazionale di composizione «Viotti» di Vercelli, vincitore assoluto del concorso internazionale di composizione sinfonica Città di Trieste (1979).  Fino al 2007 è stato docente di armonia e contrappunto nel Conservatorio Tartini di Trieste.

Aulon Naçi (Vlore – Albania, 1983). Dopo la maturità nel liceo musicale Naim Frasheri di Vlore (2001) e il diploma in flauto nello stesso istituto, ha frequentato i corsi di armonia e di teoria musicale all’Accademia di belle arti di Tirana con Thoma Gaqi. In Italia dal 2002, ha conseguito la laurea di primo livello (2010) e quella di secondo livello (2012) in composizione al Conservatorio Tomadini di Udine con Renato Miani. Ha partecipato a master class di composizione con Reinhard Febel (Universität Mozarteum Salzburg), Lasse Thoresen (Accademia di Oslo), Stefano Gervasoni (Conservatorio nazionale superiore di musica e danza di Parigi), Helmut Lachenmann, Nadir Vassena (Conservatorio della Svizzera Italiana), Bruno Strobl, Klangforum-Wien (Dimitrios Polisoidis, Mario Formenti, Anders Nyqvist, Eva Furrer).
Le sue composizioni sono state eseguite in rassegne musicali italiane e internazionali, quali «Contemporanea» (Udine, 2007 e 2011), «Paesaggi sonori» (progetto della Regione Friuli Venezia Giulia), «Amici della Musica» di Udine. Da segnalare il «Portrait Konzert 2008» alla Wiener Saal dell’Universität Mozarteum di Salisburgo, l’esecuzione di alcune sue opere al consolato d’Italia a Scutari e alla Dudley Recital Hall dell’università di Houston (2011). Nel 2012 è stato il protagonista del concerto-recital al Festival musicale internazionale «Nei suoni dei luoghi» del Castello di Kromberk (Nova Gorica, Slovenia). Ha suonato con solisti e varie formazioni musicali (Ex Novo Ensemble,  Ventaglio d’Arpe) e in occasione del concerto straordinario dell’ensemble di musica contemporanea del Conservatorio Tomadini di Udine con il clarinettista, direttore d’orchestra e compositore Giuseppe Garbarino.

Piero Pezzé (Udine, 1913 - 1980).  Si diplomò a Udine in pianoforte sotto la guida di Antonio Ricci e in composizione a Trieste, studiando con Mario Montico e Antonio Illesberg. Prima della seconda guerra mondiale fu uno dei protagonisti della vita musicale udinese: direttore della «Camerata Musicale» e di gruppi corali, compositore, concertista nel «Trio di Udine» e in altri complessi, critico musicale, insegnante.
Dopo la lunga parentesi bellica, Pezzè seppe riproporre il suo impegno artistico e sociale in ogni campo: fu tra i fondatori del Circolo artistico friulano (frequentato da Giuseppe Zigaina, Ermes Midena; Afro, Mirko e Dino Basaldella, Pier Paolo Pasolini) e attivo collaboratore degli Amici della Musica, dell’Agimus, di Radio Trieste; compose importanti pubblicazioni riguardanti la produzione musicale dotta (come La vita musicale religiosa in Friuli) e diede notevoli contributi alla storia del canto popolare; diresse l’Orchestra sinfonica udinese.
Nell’allora liceo musicale Jacopo Tomadini, del cui potenziamento fu promotore convinto e impegnato, Pezzè insegnò per un trentennio numerose discipline, che la sua vasta preparazione gli consentiva di padroneggiare. Docente in altri istituti, mise le proprie conoscenze al servizio dell’educazione musicale di base attraverso la coralità infantile, gli ascolti guidati e le esercitazioni con il flauto dolce. Come compositore, l’artista udinese ci ha lasciato una vasta produzione di circa 400 brani, in cui sono presenti lavori per orchestre, pianoforte, organo, complessi da camera, voci, coro, teatro e balletto.
Il suo percorso artistico, complesso e articolato, assimila tutte le scuole e le tendenze della musica europea contemporanea. Partito da ambiti impressionistici di scuola francese, Pezzè si accostò alla musica atonale, seriale e dodecafonica, guidato da una profonda conoscenza delle forme compositive alla continua ricerca di nuovi linguaggi espressivi, pur rimanendo saldamente ancorato al patrimonio storico e alla tradizione musicale friulana.
Nel 1995 la figura umana e artistica di Piero Pezzè è stata ricordata con un ciclo di concerti e con il libro Piero Pezzè musicista europeo nel Friuli del Novecento di Pierluigi Visintini (edizioni KappaVu). 

Vittorio Vella (Gorizia, 1960) - Ha iniziato la sua attività componendo per il teatro e approfondendo in special modo le tematiche sulla diffusione sonora multipla applicata allo spazio.
Ha affinato le sue capacità creative nell’ambito della musica elettronica e d’ambiente, ideando sonorizzazioni di mostre e spazi architettonici. Ha realizzato, in qualità di solista o in collaborazione creativa con altri compositori, una ventina di cd spaziando tra musica sperimentale e musica d’uso. Nel 1990 con il compositore e musicologo Marco Maria Tosolini ha creato «Arcana strutture sonore», laboratorio di ricerca multi stilistica.
Nell’ambito dello spettacolo dal vivo, ha collaborato con importanti realtà del panorama teatrale e musicale in veste di compositore, sound designer e tecnico del suono, curando allestimenti e installazioni in Italia e all’estero.
Assieme a Piermario Ciani ha partecipato alla Biennale di Venezia con un progetto multimediale visionabile anche sul web.
Dal 1995 è responsabile editoriale di TEM - Taukay Edizioni Musicali. La struttura, dedicata alla musica contemporanea, e più in generale alla musica colta, divide le sue attività tra produzione discografica, organizzazione di eventi, concorsi musicali e stampa digitale di partiture.
Sempre nell’ambito della Nuova Musica, dal 1996 è direttore artistico del festival «Contemporanea», manifestazione dedicata alle nuove tendenze, organizzata in collaborazione con istituzioni pubbliche e private della regione Friuli Venezia Giulia. Dal maggio del 2008 è responsabile editoriale della programmazione di Taukay Web Radio, la prima emittente italiana in rete interamente dedicata alla Nuova Musica.

Alessio Venier (Gemona del Friuli, 1992) – Diplomato in violino al Conservatorio Tomadini di Udine (2010), si perfeziona successivamente con Mariana Sirbu, Marco Fiorini e Dejan Bogdanovic. Contemporaneamente si iscrive al corso di composizione nello stesso Conservatorio, dove attualmente frequenta regolarmente il VII anno di corso di vecchio ordinamento sotto la guida di Renato Miani. Suoi lavori sono stati eseguiti durante numerose stagioni concertistiche in Friuli Venezia Giulia (Teatro Nuovo Giovanni da Udine e Contemporanea 2011 e 2012) e all¹estero (Mozarteum di Salisburgo e Landeskonservatorium di Klagenfurt). Attualmente affianca allo studio della composizione quello della direzione d’orchestra sotto la guida di Gilberto Serembe.

 

Daniele Zanettovich (Trieste, 1950) - Allievo di Dario De Rosa e di Giulio Viozzi si è diplomato in pianoforte (1968), in musica corale (1969) e in composizione (1970). Come compositore ha vinto il primo premio assoluto al «Prince Pierre de Monaco» (1972 e 1978), al XX concorso internazionale «Città di Trieste» (1973), al XVI concorso nazionale «Malipiero» e al Concours International Opéra et Ballet di Ginevra (1981). La sua produzione - che spazia dal teatro alla musica sinfonica, dal repertorio corale alla musica da camera - è pubblicata da Sonzogno di Milano, Leduc di Parigi, Casa Ricordi, Curci, Zanibon, Suvini-Zerboni, Pizzicato.
Ha diretto, tra gli altri,  l’Orchestra National dell’Opéra di Montecarlo, l’Orchestra del Teatro Verdi di Trieste, l’Orchestra Aidem di Firenze, l’Orchestra Sinfonica di Sanremo, l’Orchestra dell’Ente Arena di Verona, l’Orchestra Filarmonica di Udine. È stato insegnante di teoria e solfeggio (dal 1968) e poi di armonia, contrappunto, fuga e composizione al Conservatorio Jacopo Tomadini di Udine (1973-2008).

Date

15 Novembre 2013

Tags

CD
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