Madrigali in Giardino (Code: TAUKAY 105)



Madrigali in Giardino
per quartetto vocale sei esecutori live eletronics

Testi di Brandolino Brandolini d'Adda


Elena CROCI - soprano 
Rossana VERLATO - contralto 
Michele NEGRO - tenore 
Fabio BONAVITA - baritono 
Federica LOTTI - flauti 
Rocco PARISI - clarinetti 
Dario ZANDEGIACOMO - sax clarinetto 
Stefano ZANCHETTA - violino 
Maria Gabriella MARCHI - viola
Annunziata DELLISANTI - percussione 
Alvise VIDOLIN - live eletronics 
Paolo ZAVAGNA - live eletronics 


I PERCORSI INFINITI DEL FINITO
" Et musique est une science
Qui veut qu'on rie et chante et danse:
Cure n'a de mélancolie..."
Guillaume de Machaut, Veoir Dit.

" Dunque ... dato che la potenza della bile nera
(melaÃna chóle, da cui melancolia, malinconia)
é incostante (anómalon), i melanconici sono
incostanti (anómaloi). ... Ma poiché è possibile
che ci sia una buona mescolanza dell'incostanza,
e che essa sia in qualche modo di buona qualità ...
tutti i malinconici sono dunque esseri d'eccezione,
non per malattia, ma per natura".
Aristotele, Problema XXX (sulla malinconia).


A Eckerman che gli chiedeva che cosa pensasse dei romantici Goethe rispose che le epoche sane hanno un'arte classica e le epoche malate un'arte romantica.
E noi, oggi, in che epoca viviamo? Si pensa sempre, dai più, che per gli artisti essersi liberati dalle catene della tradizione retorica classica sia stato un atto liberatorio, la conquista di spazi incontaminati, l'apertura di possibilità inesplorate.
Ma, come per il Colombo delle Operette Morali leopardiane, gli artisti si sarebbero subito accorti che l'immaginata apertura era in realtà un restringersi delle possibilità d'invenzione.
La scoperta del Nuovo Mondo non rendeva la Terra più vasta, ma più piccola: il mondo immaginato oltre le Colonne d'Ercole era più vasto perché incognito, e dunque immaginario: quello che si offriva ai Conquistadores castigliani aveva confini ben precisi.
La libertà dell'artista classico è una libertà combinatoria: l'invenzione sta quasi tu
tta nello sperimentare diverse combinazioni di un modello o, più esattamente, di un programma prefissato. Le famose unità di tempo, di luogo e di azione non erano una costrizione della fantasia del drammaturgo, ma anzi uno stimolo a inventare situazioni di estrema tensione, tanto è vero che oggi, per esempio, ne fanno spesso uso i registi di film gialli. Significativo che uno dei più grandi compositori romantici, Robert Schumann, definisca la musica "un'arte combinatoria". Ma Schumann era anche un accanito e imbattibile giocatore di scacchi.
Conosceva dunque benissimo le regole della libertà o, se si preferisce, i condizionamenti regolati dal caso. Allora: anche i romantici costruiscono gabbie, piantano paletti di confine, s'inventano percorsi obbligati? e dove va a finire la malattia? Goethe aveva ragione in una cosa: che l'artista ha bisogno di regole. Ma sbagliava quando poi credeva che i romantici non se ne ponessero nessuna. Così come va letta con ironia l'affermazione di Machaut che la musica non si cura di malinconia: non se ne cura perché a generarla &egrave la stessa malinconia, una "natura" però, non una malattia. Vero è, tuttavia, che il segreto della musica sta proprio nella sua costruzione, nel fatto di essere una "science", ma tutta particolare, una scienza infatti che fa ridere e cantare e danzare.
Gli antichi e gli artisti del medioevo cantavano e danzavano coi modi. Poi venne la tonalità. Si dissolse, si rifranse, si ricompose in mille modi, si disperse, si rimbellettò. Oggi, un compositore può scegliere ciò che vuole, ma una volta compiuta la scelta, il cammino è determinato, non può che camminare su quel cammino. Un tiro di dadi &egrave imprevedibile: ma una volta tirato, le conseguenze non possono essere, per il giocatore, che quelle determinate dal numero del tiro.
Madrigali in Giardino sembra voler giocare sempre da capo appunto la scommessa di un tiro di dadi imprevedibile che determina, una volta tirato, quelli e non altri percorsi musicali. Lo spazio della musica assomiglia a una costellazione o, se si preferisce, a una rosa dei venti o, forse, chi sa, al percorso delle orbite stellari. Per i teorici medioevali la musica si divide in "mundana", la musica degli astri o, più correttamente, delle sfere in cui sono infissi gli astri, "humana", il canto, e "instrumentalis", quella degli strumenti musicali. Per Aristotele, più radicalmente, alla natura compete il generare, il naturare, all'uomo il fare, il costruire; la poÃesis, appunto, in contrapposizione alla physis.
Per Corrado Pasquotti lo spazio della musica è uno spazio che si determina nel tempo, che si fa visibile, oltre che udibile, via via che si costruisce. L'ascoltatore &egrave circondato da otto diffusori: il suono lo fascia come un amplesso o come un grembo dentro cui abbandonarsi, come l'orbita dentro cui veniamo condotti e non ce ne accorgiamo. Nell'ascolto del disco quest'effetto non risulta con evidenza, anche se l'ascolto in cuffia sembra sospendere le orecchie dentro una sfera che ruota. L'organico è composto da quattro voci, soprano contralto tenore e baritono, e da strumenti, violino viola clarinetti sassofono flauti percussioni. I suoni vengono catturati e rielaborati in tempo reale dall'apparecchiatura elettronica. Le parti vocali e strumentali sono integralmente e scrupolosamente scritte. Ma le loro entrate e il loro combinarsi, di conseguenza, sono determinati, per ogni esecuzione, dalle decisioni di un "regista".
Musica e teatro, musica e visione, spazio e suono.
Alcuni strumenti non stanno fermi, ma percorrono diverse traiettorie, come pianeti o satelliti o meteoriti intorno a un centro. I testi scelti, di Brandolino Brandolini d'Adda, sono otto. I titoli ricordano un po' l'alchìmia e un po' la geomanzia. 
Le due cose, del resto, non si escludono affatto. così come non &egrave esclusa nemmeno l'ipotesi che se la musica rispecchia il movimento dell'energia che ha generato le cose, a sua volta il movimento dell'energia (per esempio degli elettroni nell'atomo) possa costituire un'analogia del movimento della musica e, addirittura, tutto ciò che possa essere contenuto simbolicamente, e cioè realmente, nell'atto della scrittura o, prima ancora, nell'atto di progettare la scrittura. L'opera si divide in tre parti: stazioni di un viaggio? soste della memoria? visioni interiori del sangue che scorre nelle vene? o fantasmagorie sonore di un mondo che solo nel suono rivela la propria esistenza? La scrittura verbale non può rispecchiare che metaforicamente quella musicale o per analogia di quelli fantastici. L'analisi, può darsi, rivelerebbe di più: ma allora non bastano poche righe e nemmeno poche pagine e resterebbero incomprensibili a chi ignora la scrittura musicale e forse perfino a molti di quelli che la conoscono, queste righe e queste pagine di analisi musicale. In ogni caso, qui, non ce n'è dato lo spazio.
Proviamo allora a suggerire non già il "contenuto" musicale dell'opera, bensì la via per lasciarsi penetrare dalla suggestione dell'ascolto. Questa via comincia col lasciarsi appunto penetrare dalla musica. Dalla sua dolcezza. Dalla sua insinuante, accarezzata, si starebbe per dire voluttuosa dolcezza. Ma un tale effluvio amoroso non è invertebrato, non dissolve in tentazioni la rete degli amplessi sonori, non almeno in sensazioni passeggere: è un amplesso che via via costruisce nella memoria dell'ascoltatore e dello spettatore, se l'ascolto avviene dal vivo e non dal disco, una costellazione mutevole di punti fissi, piccole formule melodiche, brevi incisi ritmici, vagheggiati indugi timbrici.
La costellazione ruota, si dipana, si assottiglia, come la coda di una cometa, si allarga come la coda di un pavone musicale, come una ruota che ruota, negli occhi della mente, che la si veda o no, davvero, intorno a noi, davanti a noi, in un'esecuzione dal vivo. Ed è sempre questa dolcissima fascia melodica che penetra e ci avvolge. Ma nella terza parte, verso la fine, l'onda della dolcezza sembra corruscarsi, raggrumarsi, rapprendersi, in ritmi più tesi, in timbri più duri, in melodie, se di melodie si può parlare, più corrucciate. E' forse "l'Amor che move il sole e l'altre stelle"? Certo &egrave amore: il testo dice che "coglie in quel punto". Ma che cosa coglie? e chi? da chi? L'onda si riassottiglia, la dolcezza lascia inevasa la domanda. E se questo fosse il senso, l'analogia: se qui stesse il "punto"? Che non c'è risposta, perché &egrave già un rispondere lo stesso domandare? Poi, però, si ascolta una diversa esecuzione, gli attacchi e le combinazioni cambiano, e la domanda è un'altra, e dunque un altro anche il rispondere. Ma fate quest'esperienza: riascoltate ciò che avete già ascoltato una volta, dal disco. Vi accorgerete che ascoltate un'altra cosa, anche se &egrave la stessa. Perché ora voi non siete più l'ascoltatore che ha ascoltato la prima volta.

Dino Villatico
Venezia, 21 Aprile 1998.

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