Conservatorio Statale Jacopo Tomadini di Udine 
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Luigi Nono

Musiche di scena per i Turcs tal Friùl

Il 13 novembre 1976, a distanza di pochi mesi dalle terribili scosse di terremoto che sconvolsero il Friuli, il Piccolo Teatro Città di Udine, in collaborazione con il Teatro La Fenice di Venezia, proponeva i Turcs tal Friùl in un'edizione curata da Rodolfo Castiglione nella Chiesa di San Lorenzo a Venezia. In quel frangente l'allestimento dello spettacolo stava a significare la volontà di ripresa e di ricostruzione di un popolo nel segno di una precisa identità. La presenza delle musiche di Luigi Nono, compositore tra i più importanti della vita culturale italiana, accanto agli elementi scenografici del pittore Luciano Ceschia e delle diapositive di Italo Zannier (che aprivano la serata con alcune immagini delle distruzioni operate dal terremoto), aveva contribuito ad arricchire il fascino dello spettacolo. Rodolfo Castiglione, regista di quella prima rappresentazione, nel ricordare l'evento sottolinea come Luigi Nono fosse stato estremamente disponibile nei confronti delle difficoltà che continuamente affioravano nelle fasi dell'allestimento dello spettacolo (in particolar modo dovute alle precarie condizioni dell'acustica della Chiesa dove si tenne questa prima rappresentazione) e come la sua partitura fosse concepita per adattarsi molto bene alle esigenze del palcoscenico. 
Limitata ad alcuni brevi interventi nel corso dell'azione, la musica di Nono assume poi un ruolo di primo piano nel momento in cui i Turchi minacciano il popolo friulano raccolto in preghiera. Essa prende avvio da un antico organum, Cunctipotens genitor, che già aveva accompagnato la preghiera iniziale del dramma di Pauli Colus ("Crist pietàt dal nustri pais"). Il canto, intonato da voci femminili, accompagna la rogazione dei fedeli strettisi attorno al "Predi". A questo canto, trasparente e lineare, si sovrappone poi il Coro dei Turchi e da questo viene coperto progressivamente. Il Coro ( "Luna, infinit il lun da la to sfera / al brila tal seren dai vècius muars"), fortemente ritmato, è invece sostenuto dalla presenza delle percussioni che sottolineano energicamente l'avanzata dell'esercito. Alle parole del prete ("A passin vièrs MiesdÌ, forsi par San Zuan. Virgo Potens") riprendono le rogazioni, sempre accompagnate dall'Organum. I Turchi, intanto, proseguono la loro marcia. Abbiamo così la seconda parte del Coro ("Luna sfavila fuart sora dal ciaf / dai fantassùùs ch'a prèin tal Sagràt"). A questo punto le voci maschili si uniscono a quelle femminili per intonare nuovamente l'organum durante le rogazioni finali ("Agnus Dei qui tollis peccata mundi..."). "A son passàs", esclama il prete alla fine. Il pericolo dei Turchi è scongiurato e anche la musica tace. Un ultimo intervento musicale, esclusivamente vocale, si presenta alla fine del dramma accompagnando il dialogo fra il prete, Pauli Colùùs e S'ciefin Cuarnùs.
"Il coro in versi dei Turchi, che sovrasta il rosario del popolo friulano - annota Stefano Casi -, ricorda il primo coro manzoniano dell'Adelchi. Singolari le autodefinizioni presenti nel coro, che parla di "volt sensa pensièris di Turcs lontans" o di "nustris cuàrps pagàns", soprattutto se messe a confronto con le definizioni dei friulani descritti come "fantassùs ch'a prèin tal Sagràt" e nelle "puòris vilis" ("volto senza pensieri di Turchi lontani", "nostri corpi pagani", "ragazzetti che pregano sul sagrato", "poveri paesi"). Il coro, in realtà, rappresenta la proiezione di un sentimento dei friulani nel personaggio collettivo e puramente 'sonoro' dei Turchi, come le voci udite dal Figlio in Fanciullo e paese pubblicato meno di due anni prima sul "Setaccio". La peculiarità di queste autodefinizioni compiute dal personaggio collettivo dei Turchi nell'affascinante tono lirico, quasi elegiaco, del coro è spiegabile come ricordo dei Canti del popolo greco di Niccolò Tommaseo, una raccolta poetica pubblicata da Einaudi nel 1943 e di fondamentale importanza nella formazione letteraria di Pasolini, definita da Enzo Siciliano livre de chevet durante la lavorazione dei Turchi. Molti canti trascritti da Tommaseo sono canti cleftici, riferiti all'aspra guerriglia dei "banditi" greci contro i Turchi invasori: la memoria del volume di Tommaseo può spiegare la singolare inversione dell'ottica da cui i Turchi descrivono se stessi come lontani e pagani".
Guido Santato, autore di una pregevole volume sull'opera di Pier Paolo Pasolini, invece sottolinea la felice suggestione lirica sottesa a questa pagina, per cui ´l'elaborazione prosodica delle risorse musicali del friulano vi si manifesta, ad esempio, in un verso interamente giambico, ma fortemente scandito sulle "a" quale "I zìn pai ciàmps dai muàrs ciantànt beàs".
Già queste osservazioni non solo giustificano, ma dichiarano la necessità della musica nei Turcs che del dramma diviene una fondamentale componente stilistica ed espressiva e giustamente Casi parla dei Turchi nei termini di un "personaggio collettivo e puramente 'sonoro'". Non a caso, questo primo lavoro teatrale di Pasolini ha portato altri compositori a scrivere delle musiche di scena per i suoi versi. Oltre alla partitura di Luigi Nono, va così sottolineata quella di Giovanna Marini, che ha conseguito un enorme successo di pubblico, di Pasqualino Migliaccio e, in tempi recenti, quella di Glauco Venier. Tutti questi compositori si sono confrontati con quest'opera, giungendo a dei risultati diversi ma sempre di particolare interesse.
La partitura di Nono, qui riproposta per la prima volta dopo il sopraccitato allestimento, è conservata, nella veste di appunti, all'Archivio Luigi Nono di Venezia, luogo dove la memoria del maestro veneziano viene custodita dalla moglie Nuria Schönberg. Questa sua prima esecuzione è stata resa possibile grazie alla ricostruzione operata da Daniele Zanettovich.

Roberto Calabretto
maggio 2001


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L'opera di ricostruzione delle musiche scritte da Luigi non per I Turcs tal Friul di Pasolini si &egrave basata su una collocazione tra le due sole fonti oggi reperibili:
- gli appunti del musicista, consistenti in frammenti musicali veri e propri, nonché in annotazioni sulle pagine del testo teatrale;
- il nastro contenente la registrazione di alcune scene dello spettacolo (e, precisamente, della sua repolica avvenuta al Palamostre di Udine).
La partitura, nella sua stesura definitiva, e le parti - sicuramente esistenti ai tempi di questo allestimento - sono andate distrutte nel rogo del Teatro La Fenice, nei cui Archivi erano custodite poiché la realizzazione esecutiva era frutto di una collaborazione con l'Ente lirico veneziano.
A prescindere dal fatto che queste musiche siano state eseguite dal vivo, o meno (i riscontri in proposito non sono univoci), molti particolari risultano, nella registrazione, offuscati dalla prosa. Altrove il confronto - quando possibile - tra il risultato esecutivo e gli appunti originali evidenziano delle imperfezioni, forse impu abili a fattori contingenti tipici dell'esecuzione dal vivo, forse dovuto a distorsioni in fase di diffusione della registrazione stessa.
Sta di fatto che, più che ricostruire alla lettera quanto risulta dal documento sonoro, ho cercato di risalire al pensiero dell'Autore e quindi di avvicinarmi a quella che poteva essere la partitura originale. Per la cronaca posso precisare che il materiale disponibile ha richiesto sostanzialmente tre livelli di intervento:
- un primo livello per quegli episodi in cui il documento sonoro collima sostanzialmente con il manoscritto (ovviamente questo livello non pone problemi di intervento da parte del revisore);
- un secondo livello per quegli episodi in cui il manoscritto &egrave molto meno definito e nei quali, comunque, il documento concorda solo parzialmente con gli appunti (e, in questi casi, l'orientamento della trascrizione &egrave andato decisamente verso i dati deducibili dal manoscritto);
- un terzo livello di intervento per quegli episodi (fortunatamente più brevi) per i quali non esisteva alcun riscontro grafico, episodi da ricostruirsi integralmente in base a "che cosa poteva essere stato scritto" piuttosto che in base a "che cosa si sente effettivamente nella registrazione".
Ultimo fattore da considerare, in questa operazione, la necessità di rendere fruibili come evento musicale a sé stante - e quindi al di fuori dal contesto di uno spettacolo completo - dei frammenti musicali che, oltre ad essere destinati a momenti assai diversi del dramma teatrale, erano anche del tutto privi di un qualcosa che potesse fungere da elemento conclusivo. Al primo problema si &egrave potuto ovviare valendosi di frammenti di recitazione atti a relazionare le musiche con le rispettive situazioni drammatiche; al secondo problema si &egrave cercato rimedio con la costruzione di un finale, realizzato sfruttando materiale pregresso, atto ad assolvere la sua indispensabile funzione senza che l'operazione diventasse del tutto mistificatoria.

Daniele Zanettovich 
maggio 2001

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